Il Primo Maggio, quest’anno più che mai, deve rappresentare un momento di svolta nella coscienza dei Lavoratori di qualunque categoria sociale e mostrare in modo forte e chiaro che questa ricorrenza non è la celebrazione della lotta di classe comunista, bensì deve essere un momento di superamento totale del conflitto che a parole vuole rimuovere le disuguaglianze, ma che nella sostanza sta allargando enormemente la forbice sociale.
A tal proposito, è interessante iniziare l’articolo ricordando che nel marzo del 2012 la Lega fu uno dei pochi partiti a votare contro l’abolizione dell’articolo 18, non restando immobile di fronte all’ennesimo scippo di diritti e tutele nei confronti dei Lavoratori dipendenti. Come affermò all’epoca Roberto Calderoli: «l’attacco al cuore dell’articolo 18 – lo storico baluardo contro i licenziamenti individuali senza la giusta causa – che concede alle imprese la possibilità di poter licenziare soltanto per ragioni economiche, rappresenta un attacco ai Lavoratori del Nord, l’unica area territoriale del Paese dove ci sono le grandi aziende private, quelle che hanno ancora più di quindici dipendenti. Grandi imprese private che non si trovano in altri territori, dove le uniche strutture con più di 15 dipendenti sono i tanti carrozzoni statali improduttivi.»
In questa visione, l’azienda deve diventare il “centro economico ed umano” dove Imprenditore e Lavoratore si incontrano “vincolati” l’uno all’altro da un legame di fedeltà reciproca, non più in contrapposizione come antagonisti, ma come due diversi componenti del mondo produttivo “reciprocamente” necessari l’uno all’altro, così da creare una simbiosi che deve trovare la propria perfezione attraverso un confronto collaborativo. I fattori della produzione, di conseguenza, non perseguono più fini egoistici, ma solamente il bene comune dell’azienda. Gli interessi privati assumono quindi legittimità purché non entrino in conflitto con il superiore interesse della Comunità.
Bisogna quindi tutelare ed incoraggiare con fatti concreti il Lavoro e l’Impresa perché contribuiscano alla produzione nazionale. L’allontanamento delle imprese, invece, induce sempre più a delocalizzare le attività, dunque a limitare le opportunità di lavoro sul proprio territorio. Devono quindi finire i tempi nei quali i “grandi gruppi”, sostenuti dallo Stato con i soldi dei cittadini, privatizzino gli utili e socializzino le perdite in termini di cassa integrazione, licenziamenti e disperazione sociale. Il messaggio imperativo che deve investire tutti, senza distinzioni di sorta, è fare del Lavoro il soggetto dell’economia e la base infrangibile dello Stato, trasformandolo da “strumento del capitale” a “soggetto strumentalizzante” il capitale stesso, perché tra capitale e lavoro non deve esserci scontro.
I conflitti sociali accadono spesso per un’eccessiva competitività sul costo della forza lavoro ed è noto che i clandestini che arrivano illegalmente in Italia stanno contribuendo, ovviamente involontariamente perché la maggior parte di essi vorrebbero rimanere nel loro paese a lavorare, ad allargare i divari sui salari.
L’immigrazione, come ricorda da sempre Alain De Benoist, è un fenomeno padronale e chi critica la globalizzazione approvando la prima detta, di cui la classe lavoratrice è la prima vittima, sta entrando in piena contraddizione.
L’eccessiva disponibilità di manodopera extracomunitaria, comoda agli speculatori, toglie potere contrattuale ai lavoratori italiani e questo non è corretto.
I lavoratori sono infatti psicologicamente disposti ad accettare qualsiasi situazione contrattuale sotto il ricatto della disoccupazione; i disoccupati sono in depressione perché hanno perso ogni speranza di entrare nel mondo del lavoro; i pensionati si svegliano la mattina con il complesso di pesare sui figli e i nipoti…
Il sonno della nostra gente è ormai deviato dai fantasmi che assumono le forme della speculazione, dai grafici riguardo l’andamento dei mercati e dello “spread”: troppi elementi che distruggono la serenità. La gente, inconsapevolmente, continua a legittimare la propria condizione di schiavo essendo atrofizzata dalle martellanti pubblicità di nuovi beni di consumo che probabilmente non serviranno effettivamente a migliorare la loro condizione.
Bisogna invece ricercare un nuovo modello di “Idea Sociale” in cui il Lavoro sia messo come base dello Stato, permettendo al cittadino-produttore di partecipare attivamente alla vita delle aziende, non venendo così considerato un automa che compie azioni ripetitive, al fine di donare creatività, capacità e valori unicamente al bene comune.
Alessandro M.