Leggiuno è uno dei pochi comuni italiani che può vantare l’orgoglio di annoverare tra i propri cittadini molteplici campioni che hanno dato lustro allo sport nazionale e mondiale per le loro epiche imprese.
Tra questi c’è sicuramente Silvano Contini, corridore che in dodici anni di professionismo tra gli anni Ottanta e Novanta ha fatto sognare gli appassionati delle due ruote.
Contini, nato a Leggiuno il 15 gennaio 1958, ha corso per diverse squadre: Bianchi Faema, Bianchi Piaggio, Ariostea, Gis gelati, Del Tongo Colnago, Malvor Bottecchia, Malvor Colnago, Gis Benotto. Nella sua carriera ha vinto 48 gare e ha tenuto sulle sue spalle per 15 giorni la maglia rosa del Giro d’Italia, oltre a vantare cinque presenze nella nazionale azzurra.
Tra i suoi successi i più importanti ci sono la Liegi Bastogne Liegi (1982), il Giro del Lazio, il Giro del Piemonte, il Giro di Germania, il Giro dei Paesi Baschi, Midi libre, Tour delle Ande, Coppa Placci, Trofeo Baracchi in coppia con un altro nome importante del ciclismo come Gisiger, Gran Premio di Camaiore, Trofeo Matteotti, Coppa Bernocchi, Trofeo dello Scalatore, La Ruota d’ Oro, il Giro dell’Umbria, il Giro delle Puglie, il G.P di Prato e la Coppa Sabatini.
Poi la storia sportiva del campione finisce, Contini lascia il ciclismo e rileva la falegnameria di famiglia, che tuttora porta avanti. Il campione leggiunese ha scritto un libro intitolato “Sorrisi e Fantasie” insieme con lo scrittore e giornalista varesino Paolo Costa.
Silvano come mai dopo tanti anni hai deciso di raccontarti in questo libro?
Il merito è stato del giornalista varesino appassionato di ciclismo Paolo Costa e devo dire che mi ha convinto perché tutti i proventi della vendita andranno in beneficenza al Banco Alimentare e ad altre realtà benefiche che operano sul territorio. Questo libro racconta il mio ciclismo dove ricordo storie, retroscena, momenti di vita sportiva vissuti al fianco di Gimondi, Saronni, Moser, Hinault e ad altri corridori con i quali ho condiviso tanti momenti sulle strade.
Facciamo un passo indietro nel tempo: ricordi come hai cominciato a correre e la tua prima gara?
Mi sono appassionato al ciclismo andando alle scuole medie a Caravate. In classe avevo alcuni compagni che correvano nella società sportiva Caravatese e mi hanno coinvolto. Poi avevo due amici, Gianluigi Caretta e Daniele Ferrari, che pedalavano forte e con grinta e ho cercato di imitarli. Erano due ragazzi forti che hanno conseguito buoni risultati, anche se dopo hanno fatto diverse scelte di vita.
Qual è stata la tua prima gara sulle due ruote?
La ricordo bene in quanto ho avuto due soddisfazioni nella stessa giornata. La prima fu l’emozione di un ragazzino quindicenne che parte per una gara con tanti corridori percorrendo diversi chilometri in uno scenario diverso dal mio abituale, perché eravamo nel Pavese, in mezzo alle risaie; una gara tranquilla, siamo arrivati in gruppo. Poi al pomeriggio c’era la finale delle Olimpiadi dell’oratorio leggiunese di San Primo organizzate da due sacerdoti storici come don Giulio e don Ilario. La mia squadra, l’Atala, era a pari punti con la Condor prima della gara finale in bici attorno all’ufficio postale dove c’erano delle piccole salite. I miei amici facevano conto su di me e non potevo deluderli e, così, mia mamma Colombina mi preparò un sostanzioso uovo sbattuto… poi partii in sella alla mia bici e portai a casa il trofeo dell’oratorio; quella fu per me una vittoria veramente importante.
Avevi già il “carattere” del ciclista?
Ero un ragazzino ma ero già motivato anche per l’educazione famigliare che i miei genitori mi trasmettevano, votata al sacrificio, all’impegno, alla costanza, insomma testa bassa e pedalare senza lamentarsi troppo.
Hai vinto tanto nella tua carriera, ma hai anche qualche rimpianto per qualche vittoria mancata?
Certo, lo racconto anche nel mio libro: fa parte dello sport come della vita. Al momento ti arrabbi, hai voglia di mollare tutto, poi le persone vicine di stimolano ad andare avanti e riparti. Sono stati diversi i miei momenti di delusione, ma fortunatamente ho avuto due compagni di squadra come Vanotti e Pozzi che mi hanno dato la giusta carica. Sono stati e sono ancora amici veri, ci sentiamo spesso.
Hai corso con campioni come Saronni e Hinault; non sarà stato facile, magari senza di loro qualche vittoria in più avresti potuto ottenerla…
Chi può dirlo? Ai posteri l’ardua sentenza… Quando gareggi con grandi campioni le gare hanno una visione diversa, si calibra diversamente la strategia, ci vogliono astuzia ed esperienza e devo dire che grazie a loro mi sono anche formato sportivamente.
Poi è arrivata la scelta di smettere e fare il falegname.
Arriva il momento delle scelte. Dopo anni sulle strade lontano da casa, quando hai una famiglia cresce la voglia, come nel mio caso, di fermarti. Fare il falegname era un po’ come ritornare ragazzino quando aiutavo mio zio Antonio. Cosi ho rilevato la falegnameria di famiglia e mi sono reinventato, applicandomi, “rubando” i segreti del mestiere come quando correvo in bici e devo dire che con questa professione mi sento realizzato e non rimpiango nulla.
Anche da ragazzino facevi il falegname?
La mia generazione nelle vacanze estive veniva mandata a fare dei lavoretti, era normale. Io aiutavo lo zio a fare dei pannelli espositivi per gli accessori da bagno che la Inda produceva, montavo a mano portasaponi, portasalviette e portarotoli. Allora gli avvitatori non c’erano. Poi si andava in loco a montare l’angolo espositivo; ricordo la trasferta di Udine da Edil Friuli: presi anche una mancia molto alta, che bei momenti…
Vai ancora in bici?
Alla domenica ci troviamo con Saronni e Botteon e altri amici. Facciamo una sgambata di circa 50 km che si conclude con il rituale aperitivo tra amici. Poi al lunedì si ritorna in falegnameria.
Non rimane che leggere il libro in vendita in libreria o richiedendolo all’editore via mail a info@sunrisemedia.it con il ricavato devoluto in beneficenza.
Claudio Ferretti